Nell’attuale inflazione del mercato dell’attenzione, in cui per mezzo delle connessioni l’offerta di prodotti supera di molto la domanda, il Porno è il canale privilegiato per disseminare messaggi.
Ogni anno, il portale Pornhub (che vanta più di 33 miliardi di connessioni annuali) rilascia statistiche che consentono al sistema dell’informazione di sfornare qualche articolo retorico in merito, ma di fatto sappiamo che le ricerche sui motori di ricerca pornografici ci rivelano molto sia dell’utilizzo che facciamo della pornografia, quanto di cosa è Porno1.
La differenza fra il Porno e la pornografia è netta: mentre la pornografia è “la rappresentazione dell’attività meretricia”2, il Porno è meglio definibile come “il godimento che traiamo dalla composizione dei simulacri”.
Detto più genericamente, qualcosa è Porno nel momento in cui, a guardarla, suscita eccitazione e godimento (godimento, non necessariamente piacere: il godimento sta al Porno come il piacere alla pornografia), come ci hanno dimostrato categorie Porno non pornografiche come il “food porn” e lo “organization porn”, a cui aggiungiamo un’altra categoria di prodotti mediatici Porno non pornografici che chiamiamo “politic porn”.
Sebbene la nudità e il Porno siano già stati usati per fini politici (per es. dalle Pussy Riot, dalle Femen, dalla loro antesignana Marina Ripa di Meana, nonché da Matteo Salvini sulla copertina di Oggi), un posto specifico merita la foto 2018 di Radicali Italiani.
Infatti, a dicembre 2018, Radicali Italiani ha aderito alla campagna EuropeNOW e lo ha fatto con una foto che ritrae la Presidente Bonvicini, la Segretaria Manzi e la Tesoriera Soldo nude e schermate da una bandiera europea, con lo slogan “Senza l’Europa siamo nude”.
Possiamo iniziare da qui per definire i piani di un’analisi, che si arricchisce a ogni incremento tecnologico, sul rapporto fra Porno e politica.
Se la composizione ricorda quella delle Grazie nella “Primavera di Botticelli” (specie in una diversa versione in cui la Segretaria Silvja Manzi, sempre in posizione centrale, si mostra di spalle), non dobbiamo però intestardirci su un’analisi iconologica, quanto politica ed emologica.
Infatti, la prima caratteristica generale degna di nota che ci si presenta riguarda proprio i soggetti: un’intera dirigenza politica al femminile che si denuda per l’Europa è un caso più unico che raro.
La seconda caratteristica generale è che non ci sono molti casi di denudamento politico operato seduttivamente, cioè “deviando dal suo cammino e conducendo con sé” qualcuno: la seduzione politica è la chiave della raffigurazione collettiva di quella foto.
Entrando nelle caratteristiche specifiche, questa foto è diversa da altre consimili per l’alveo politico in cui è prodotta: l’uso del corpo nell’assiologia radicale non ha molti eguali nella comunicazione politica italiana, ma con questa foto se ne crea uno spin-off ulteriore, quello “seducente”.
Normalmente, quello radicale, è un corpo che viene affamato, incarcerato, spostato di peso, trattenuto ecc. allo scopo di farsi medium dell’istanza etico-politica di volta in volta in oggetto. Un corpo che, infine, viene denudato e ritratto quando lo sciopero della fame arriva all’estremo, come nel famoso “spettacolo” teatrale-politico dato al teatro Flaiano il 21 novembre del 1995 (anche in questo caso i corpi in scena erano degli scioperanti della fame, mentre Marco Pannella leggeva dal libro di Isaia il versetto 2 del capitolo 203).
Comparativamente si nota l’avanzamento di quella foto rispetto agli altri esempi di nudo e all’esempio del teatro Flaiano stesso: qui non c’è sofferenza, la nudità non è orrenda o perturbante, non è biblica, è una nudità Porno non pornografica con richiami più laici o pagani che cristiani.
Qui il corpo non incorpora il dolore, non è monito della pena in corso in un’eterotopia come il carcere, per esempio, bensì incorpora la nudità di cui parla lo slogan. Lo metaforizza in un climax di intimità4.
Sul piano emologico, la triade della dirigenza femminile radicale supera qui plasticamente l’invito femminista a custodire l’immagine del corpo della donna come una reliquia o a buttarla in pasto alle guardie dello zar come una molotov, e ne propone una variante squisitamente seduttiva: la seduzione non è nella nudità dei corpi (allusa), è seduzione della nudità con cui la politica è mostrata per mezzo (anche qui metaforico) della nudità del corpo.
È la nudità di tale passione che seduce, che “porta a sé”.
«Quando siamo senza passioni, siamo passivi, e nulla ci fa uscire dall’indifferenza a meno che si sia scossi da qualche affezione. Si può dire che le passioni siano la molla dell’anima: una volta che l’oratore è riuscito a impadronirsi e a esercitare quella molla, per lui nulla è difficile, non vi è nulla di cui egli non riesca a persuadere»5.
All’oratore, specie politico, occorre suscitare questa passione: deve abbattere la membrana fra militanza e intimità e consentire di ricostruire un’immagine di cui immaginare il senso.
Il rapporto fra il nudo e chi lo guarda è qui invertito rispetto al Flaiano: il nudo non inchioda lo spettatore ma lo invita idealmente a scrutare oltre il velo europeo. Gli permette di collocarsi immaginariamente dietro il velo per spiare, di fatto inglobandolo. Cosa che il nudo perturbante ed esplicito del Flaiano impedisce. Qui invece si può spiare il corpo seduttivo della politica ed è la miccia emozionale della sua emologia6: esso diventa così l’oggetto della nostra passione.
Secondo quali meccanismi il Porno assume, in foto come quella in esame, un valore assiologico ed etico? O, detto altrimenti, come può il Porno parlarci di verità e politica?
In termini etico-politici, il Porno è l’assunzione di responsabilità del diritto di “dire tutto”, in piena libertà e in sostegno di essa. Il porno si regge sullo svelare, sul denudare, mimando il movimento dell’aletheia, e sull’ossessione per il “tutto” – nulla infatti è indenudabile per il porno.7
Qui sussiste anche la sua potenza che, in opposizione all’ottica normativista8 (ossia: la libertà nasce dalla legge), inverte il rapporto e fa risalire la libertà alla disfatta della proibizione.
L’idea normativista è un residuo delle filosofie trascendentali, per cui è a partire dal “tribunale della ragione” che possiamo sapere se il pensiero sta compiendo un percorso libero o un percorso caotico, distinzione impossibile senza il criterio normativo. Tim Roth, in The hateful eight, rappresenta il normativista ideale, ad esempio: per il suo personaggio è il boia la distinzione fra la vendetta di strada e un’esecuzione legale, il fatto di essere uccisi da qualcuno che non ha niente contro di noi, che non ci uccide animato da passioni. È dunque la lamella, l’imene normativo di questo tribunale, che distingue la giustizia dalla vendetta.
L’inversione del rapporto fra legge e libertà operato dal Porno, invece, trova la sua realizzazione assiologica e politica nella parresia: dire tutto, arrischiarsi a farlo al punto che ci si potrebbe compromettere. Esattamente come quando qualcuno si denuda per la politica.
La parola parresia, come sovente le parole greche con cui noi ancora oggi delimitiamo il significato lessicale delle emozioni e dei concetti, è quadridimensionale: ha le tre dimensioni dello spazio più quella del tempo.
Vuol dire letteralmente “tutto il discorso” (da par-/pan- e ῥῆμα, dove ῥῆμα sta per “parola detta, sentenza”, cioè proprio quello che materialmente sta venendo detto nel flusso).
Quindi si può immaginare una persona che parla a un’altra o più persone, quindi “in società”, dicendo le cose che ha in cuore di dire, senza tatticismi, dicendo “sì per sì e no per no”. Mette insomma il suo cuore a nudo, lacera l’imene normativo incardinato sull’opposizione dentro/fuori legge, imene che mette al sicuro l’uomo dall’usare la ragione senza prima “averci pensato”, col rischio che questo scatto senza riscaldamento stiri o strappi il muscolo.
Si dà quindi per scontato che la parresia scaturisca dall’esistenza di un discorso, ma coincide con esso e non li si può separare se non si vuole fraintendere (più o meno volutamente) “il detto, la sentenza” dell’altro.
Si immagina l’atto nel suo svolgimento e – per di più – il modo in cui viene pronunciato: “tutto”, senza freni. La modalità è l’attributo temporale per eccellenza: il modale rappresenta in cifra la sensazione\reazione che, un certo modo con cui si parla, suscita nel momento in cui viene “parlato”.
Una sensazione\reazione che controbilancia la sicura schiettezza con un pericolo: cosa può suscitare la parresia?
Parresia quindi sta “franchezza, sicurezza nel dire”, ma contiene un rischio al suo interno: di perdere la stabilità, il favore pubblico, l’amicizia di una o più persone. Non a caso le assicurazioni ci garantiscono dalle conseguenze degli “atti di Dio”, proprio perché Dio non è un assicuratore9: non ci sarebbe merito se in qualche modo si avesse un’assicurazione sulla schiettezza.
La verità fa male a chi la sente e – dato che la parresia nasce come diritto-dovere politico ad Atene – anche a chi la dice pubblicamente.
A dire senza mezzi termini, senza incatenare l’uditore con astuzie e lusinghe o facili certezze e mete, il proprio discorso “con sicurezza” (ha questo senso nell’episodio di San Marco su Gesù e Pilato) e “a testa alta” (ha questo senso quando gli ebrei escono dall’Egitto nel Levitico), cioè liberamente, si rischia di rompere anche la filìa.
Se fin qui vediamo una questione filosofico-etimologica, entriamo in una scena didattica.
Quando due persone si amano, fra loro esiste una legame. Non importa chi lega l’altro, perché anche se si ha in mano la corda, si è comunque legati a chi abbiamo legato. Questa catena sono le lusinghe e gli irretimenti reciproci, tutti volti a mantenere la pace all’interno dell’amore.
Nessuno corre il rischio della franchezza, dell’essere sicuri di quel che si sta dicendo in quanto è “tutto il discorso”. Così, subentrano le incomprensioni silenziose (che in tal modo diventano incomprensioni insormontabili), le mezze verità, i non detti, o al contrario si entra in contese sterili e senza fine su dettagli. A volta succedono entrambe le cose: mentre uno litiga, l’altro accumula. Qui succede il peggio.
Ma se, invece, accettassimo il rischio della parresia, dicendoci onestamente quel che pensiamo quando lo pensiamo, sarebbe meglio? Due amanti che si esprimono schiettamente le proprie incertezze e perplessità quando si presentano, quanto si aiutano a rinsaldare il loro rapporto? Il rischio è che la relazione si trasformi in una pentola a pressione di ansia, un perpetuo tribunale di franchezza, “assertivo” più che “sicuro”. Non tutti riescono a sopportare questa tensione quotidianamente.
Ci vorrebbe sicura franchezza, ma quando si rischiano insolubili conflitti di interpretazione e lunghi inutili battebecchi pronti a degenerare, non per ogni inezia. Quando l’amante parla con parresia e dice tutto, non lo fa a cuor leggero, lo fa sapendo che rischia di perdere l’altro, di esserne allontanato. Se lo fa, lo fa perché ha fiducia nell’altro, per il presupposto che la relazione sia cominciata con un’apertura reciproca alla verità dell’altro, con l’atto bilaterale in cui si rivela la verità e si viene ricambiati dall’altro: attraverso l’esperienza soggettiva, non dimostrabile razionalmente, ci si sente fiduciosi nell’affidarsi all’altro che ci racconta la sua verità, gli si dà “credito” (che etimologicamente deriva dalla stessa radice di “cuore”: forse per questo in tedesco il debitore coincide col peccatore, in qualcuno che “tradisce l’affidamento del cuore”).
Nel momento iniziale, i due amanti si comunicano la rispettiva verità e la credono “tutta” perché è la loro verità, ma poi devono anche dire ogni tanto “tutto il discorso”. Allora emerge la verità per come è, cioè dislocata, egoistica, prospettica, parziale: in una parola, “mezza”.
Parte il processo di realizzazione in cui l’amante scompare per riapparire come “reale”, con debolezze e bassezze come tutti, da “vera” persona a persona vera. In questo passaggio si perde sempre qualcosa: o l’illusione della verità o il legame di fiducia su cui regge la parresia stessa, dipende quanto si è “affidato il cuore” all’altro, gli si è dato credito. È un problema di investimento, dove questa parola è l’unica che esprime proprio il gesto che i due amanti compiono cooperando per ricavare il “tutto” in cui stare: investire assume il suo significato dall’azione di “rivestire” qualcosa, nello specifico rivestire/investire con qualcosa che porterà dei risultati nel tempo, dal senso figurato di rivestire i campi con le sementi, di coltivarli.
Quindi, se l’investimento che viene fatto è inteso così, anziché come l’azione con cui moltiplicare un malloppo in modo programmabile e automatico, quello che si perde, in realtà cambia. Ossia, la parresia può permettere a qualcosa di cambiare in forma di germoglio.
Se all’effetto di disillusione segue quello di delusione, il rischio della parresia è di far perdere la fiducia di chi ci ascolta. A questo punto non si tratterà più della “grande storia d’amore” o della “relazione invincibile”, ma di supportarsi e sopportarsi con fiducia l’uno all’altro contro le avversità della vita sapendo che le cose sono come sono, finché non sopraggiunga il divorzio o la morte.
Il punto è che parlare con franchezza dà uno statuto morale perché espone al rischio di non essere creduti dagli altri (la parola cade nel vangelo di Marco quando Pilato manda a morte Gesù, che ha testimoniato con parresia la propria innocenza) o di essere presi troppo sul serio.
Mortalmente sul serio, con una fiducia che rasenta la credulità o la pantomima. Nemmeno con devozione, ma con fanatismo. Quindi bisogna stare attenti alla sicurezza, perché non si tratti mai di certezza. In un film di Luigi Magni, una moglie dice al proprio eroico marito “sei pesante, vivere con te, con l’eroe, perfetto, senza difetti, è pesante, non hai mai avuto neanche un’altra donna, non ti si può amare”. E gli dice che è meglio che se ne vada.
Nella parresia ci deve essere leggerezza. È una comunicazione modale: coinvolge l’emozione momentanea di chi abbiamo davanti. Vorrei usare due parole di Simone Weil: la pesantezza e la grazia. La parresia, se vuole evitare l’eccessiva pesantezza, deve attendere alla grazia. Per conservare la fiducia serve usare la parresia con grazia10.
“Grazia” non è un termine solo religioso, estetico o giuridico, bensì è un termine squisitamente e densamente politico, perché “grazia” deriva da “karis”, cioè da “carisma”, ciò che illumina e muove – guida – l’azione politica.
Il carisma e la parresia sono fenomeni catturati dai media così di frequente che in pratica ci si fondano: il carisma dei volti dei personaggi più amati, la parresia sguaiata delle interviste alla gente.
Sono fenomeni oggetto d’imitazione da parte di ogni politico, che cerca di fare sue quella forza trascinante e quella capacità di dire qualcosa parlando al cuore, quella capacità d’ispirare fiducia.
Ripetiamo: Franchezza, sicurezza e leggerezza, cioè parresia e carisma, sono i cardini modali dell’emologia alla base di ogni forma di comunicazione politica seducente.
In conclusione, ecco qualche ipotesi per definire l’efficacia del Porno in politica. Prima ipotesi: manifesta la franchezza. La seconda: manifesta la leggerezza. La terza: manifesta entrambe. La quarta: franchezza e leggerezza, non solo sono compresenti, ma combaciano. L’ultima: instaura un legame basato sulla fiducia.
In quella foto, la dirigenza politica di Radicali Italiani si assume la responsabilità di essere “schietta e sicura”, di assumere la leggerezza nel suo carisma, di restaurare legami di fiducia senza farne catene.
Per queste ragioni, il Porno è parte dell’infinito lavoro sempre in atto della politica.
1Non a caso troviamo Stormy Daniels (la porno-attrice che ha dichiarato di essere stata pagata da Trump per rapporti sessuali) in cima alle statistiche di Pornhub del 2018, che con ciò diventa quasi un mezzo d’informazione parallelo che – per es. – nel caso Lewinsky naturalmente era assente.
2«Per rifarsi ancora a Bataille, un occhio umano che scivola tra le natiche di una ragazza d’esperienza come Simone, la quale lo introduce nella propria carne, non ha più nulla a che fare con lo sguardo: è già una minitelecamera!» (M. Perniola, Sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino 2004, p. 127).
3«L’Eterno parlò per mezzo d’Isaia, figliuolo di Amots, e gli disse: “Và, sciogliti il sacco di sui fianchi, e togliti i calzari dai piedi”. Questi fece così, e camminò seminudo e scalzo».
4L’elemento del monito (come del monitor, dello schermo, del limine evanescente) si ritrova nella doppia accezione di specchio e di simulacro. «Non uno specchio qualsiasi [bensì] girato verso il fondo della scena […] offrendo alla vostra vista solo la sua lamina di stagno (tain)» (J. Derrida, La disseminazione, Jaca Book, Milano 2018, p. 326). Nel riflesso speculare – presente fin dall’occhio stesso – si fa immagine, s’immagina, il simulacro: «la vista è un senso che coglie la forma del corpo come un’unità organica» (M. Perniola, Il Sex appeal dell’inorganico, op.cit., p. 127.). Perciò non serve nudità esplicita: è presente oltre lo specchio, oltre il monito, oltre il velo e la bandiera.
5B. Lamy, L’art de parler, Pralard, Parigi 1678, pp. 267-269.
6«Se il libertino à la Sade è apatico, ha sangue freddo, è distaccato, il voyeur di Du Bos si emoziona, eccita i suoi sensi, e soprattutto non cerca affatto che la passione si prolunghi, non lo sopporterebbe» (M. Mazzocut-Mis, Il gonzo sublime, Mimesis, Milano 2005, p. 94)
7A. Romano, Pornografia del segreto di Stato, in “Azimuth” III, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 2015.
8Un giurista à la Kelsen, sosterrebbe che è proprio la regola (la legge, la procedura, la censura) la condizione di possibilità della libertà (e quindi del Porno), che senza regola sarebbe mero caos, con la sottesa minaccia che nulla è vincolante quanto il caos.
9Cfr. M.-F. Lacan, Dio non è un assicuratore, San Paolo, 2011.
10 «Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire sopportare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo. La grazia colma, ma può entrare soltanto là dove c’è un vuoto a riceverla; e, quel vuoto, è essa a farlo. […] Amare la verità significa sopportare il vuoto. […] Chi sopporta per un momento il vuoto, o riceve il pane sovrannaturale, o cade. Terribile rischio, ma è necessario correrlo» (S. Weil, La pesantezza e la grazia, Bompiani, Milano 2014, p. 24-25).