Sorpresa dei numeri: aumento pre-elettorale degli iscritti all’Aglietta, più di cento solo a gennaio. La visibilità televisiva, in questo primo ventennio del millennio, è ancora un toccasana. Salvo poi fare banchetti in via Garibaldi e sentirsi chiedere dai pochi ventenni che si fermano (ai quali due o tre politiche radicali parrebbero impagabili) chi sia questa Emma Bonino.
Il motivo è semplice: tra un’apparizione e l’altra sono passati troppi anni. Praticamente una, due o tre generazioni mediatiche (e le generazioni mediatiche hanno cicli più rapidi delle generazioni riproduttive).
Se si calcola il tempo in tempo mediatico, ci rendiamo conto di quanto tempo sia davvero passato: è come se, in mezzo, non ci fossero solo stati nonni genitori e nipoti, ma mediaticamente secoli.
Per il ventenne, almeno quello che si è fermato, con cui abbiamo parlato, almeno nella maggior parte dei casi, cose di qualche anno fa (era Emma il ministro degli esteri di Letta, nel 2013, per dire), rispetto a tutto il resto, occupano il posto di lontane leggende, molto secondarie, rese ancor più vecchie proprio dalla loro scarsa spettacolarità. Non che il trenta-quarantenne sia messo meglio: questi non vuole sapere, per partito preso, perché già sa o almeno sa di saperne a sufficienza. A seconda dei contesti egli è già da tempo pronto a votare una delle tre squadre di serie A (Pd, Lega, M5s), niente può impartirgli la lezione della sfumatura. Solo dai cinquanta in su c’è colloquio e la cosa non è, come si potrebbe pensare, scoraggiante, solo priva di slancio. Manca l’attivismo e manca l’idealismo: sostanziali differenze fra la serie A e le sfumature, dove sono privilegio di queste ultime. Non è una banale questione poetica.
Il marketing delle emozioni, specie per organismi come quello radicale, necessita che ci sia l’elemento posto oltre il recinto politico, altrimenti dove lo buttiamo questo cuore? Buttare il cuore oltre l’ostacolo ha reso i radicali ciò che sono. Se pare populismo comunicativo, se sembra un facile dar di gomito agli istinti del votante, parliamo allora di cose concrete: è possibile pensare di liquidare le partecipate degli enti locali (quelle che non forniscono servizi essenziali garantiti, quelle che per la Corte dei conti producono un passivo del 60%) e ridistribuire come bonus e servizi ai cittadini il ricavo, senza una forte idealità? Si tratterebbe di prosciugare un fondamentale bacino di voti dei cacicchi locali, qualcosa che nemmeno il giustizialista più sfrenato riuscirebbe a proporre senza, a un certo punto, sottolineare gutturalmente “la mangiatoia è finita”.
Tutto questo è allettante, ma contro-intuitivo, perciò deve poggiarsi all’emotività e lavorare sull’empatia. Ovviamente ai radicali non piacciono i compiti semplici, quindi il banchetto europeista non riscuote, già visivamente, un grande successo. L’Europa è un concetto ostico, che non si sa come minimamente erotizzare (se dici che l’Europa è un’opportunità, sottintendi che è un’opportunità “lavorativa”, qualcosa di utilitaristico: perché non sottolineare che oggi esistono storie, non solo politiche, ma umane, personali, affettive, che possono sussistere grazie alla libera circolazione delle persone?) e se non lo si può rendere seducente e vibrante, difficilmente ottiene quell’effetto (tecnicamente detto “fàtico”) che aggancia l’interlocutore e permette di forare la sua abituale collaudata indifferenza.
Un’indifferenza che lo porta fisicamente a sottrarsi allo sguardo del volantinatore, alla sua figura, a disegnare una sinuosa ellissi per evitarlo, tanto più sinuosa se c’è da evitare il braccio e il volantino prospiciente da esso. L’odierno individuo è subissato di input, si è fatto selettivissimo, con un’occhiata vede e giudica, bada all’essenziale, niente di più essenziale esiste dei meccanismi delle emozioni elementari. O si propone una cosa bella o una cosa brutta, mai una cosa indifferente, fredda. Se fredda deve essere, che sia relativa alla paura, all’immediatezza e al pericolo, oppure un freddo e immediato tornaconto di corporazione. In che modo l’Europa è immediata? In che modo scaccia un pericolo vicino? In che modo corrisponde un obolo imminente? Certo, si potrebbe argomentare e rispondere (stando attenti a non proporre una scarpa sinistra europea in attesa della destra), ma in quante parole? Comunque troppe. E l’interlocutore è già passato.
Possiamo pensare, alla Erostrato, che è peggio per lui, oppure che c’è qualcosa che non è stato adeguatamente trasmesso.
Nel frattempo l’Associazione ha creato un mezzo espressivo, definito da un acronimo di quattro lettere, RARA, per promuoversi e promuovere il dialogo sui temi radicali, dove scienziati, esponenti politici e religiosi hanno già rilasciato interviste di spessore. Ha raccolto il suo bravo consenso e pone un quesito e uno scenario. Il quesito è se l’amore basta a portare avanti qualcosa che va materialmente gestito, come spesso anche Emma ha fatto ironicamente notare (“vorrei essere meno amata e più votata”). Mentre lo scenario è questo: la vendita dei suoi contenuti alle emittenti del circuito radiotelevisivo autofinanzia l’attività dell’Associazione, nell’agnizione di idealità e concretezza radicali, in un passaggio proficuo dalle parole al progetto.