L’ultimo libro edito sul Rotary, dal titolo Paul e il ragazzo e scritto da Angelo Di Summa, è uscito quest’anno. Opera d’occasione per introdurre le vedute del fondatore Paul Harris, smentire alcuni luoghi comuni e combattere l’impigrimento morale dell’associazione, consente in alcune parti delle suggestioni più ampie, rotariane ma anche no.
Ad esempio, il ragionamento fatto dall’autore nel capitolo “L’amicizia conveniente”, oltre che un esempio perfetto di logica speculativa, penetra la chimera rappresentata dal rapporto fra business ed etica.
Come sfugge anche ai corsi di etica d’impresa, l’unico modo per impedire all’entropia del libero mercato di trasformarsi in massacro, è collocare al primo posto l’amicizia.
Se c’è un lato positivo di quest’amicizia, essa mostra anche tratti perturbanti, che sconfinano nel potlatch, nel dono circolare, al rialzo. Per un verso potenzialmente autodistruttivo. Per un altro, come si dice laicamente, collusivo: scambi di favori e traffici d’influenze. La teoria del complotto è dietro l’angolo.
Ma questa amicizia è “speciale”, fondata su valori ideali di servizio nei confronti della comunità e del territorio: essa va «oltre la reciprocità dell’essere a servizio tra amici, per porsi, tutti insieme, al servizio della più vasta realtà territoriale, recuperando una visione superiore e più aperta dell’amicizia, come proiezione esterna, da garantire con il perseguimento di obiettivi comuni da costruire insieme» (p.59).
Alla luce di ciò, si giustifica anche l’aiutarsi fra i rotariani, che sono amici di comunità sparse nel mondo, al servizio di tutti.
Aiutandosi a vicenda (nella professione, in società ecc.), aiutano il Rotary (che è tanto più forte quanto più lo sono i suoi membri), che aiuta tutti (tanto più efficacemente quanto più è forte). Aiutandosi l’un l’altro, aiutano tutti. L’interesse individuale confluisce in quello generale.
Vale anche la reciproca, naturalmente: aiutando la comunità, si aiuta il Rotary (che così acquisisce prestigio e, fondandosi sulla diversità di provenienza dei suoi membri, aumenta le possibilità di crescere) e quindi chi ne fa parte. L’interesse generale rifluisce su quello individuale. L’infinito e il finito possono coincidere in una posizione cava, rappresentata dal Rotary (i cui distretti possono effettivamente svanire o comparire), ma che potrebbe essere anche un ballatoio o un gabinetto ministeriale.
Ma, a tal proposito, non basterebbe un’associazione di amici filantropi? Che bisogno c’è della banausia?
Al fondatore, Paul Harris, appare chiaro che «la semplice reciprocità di amicizia e aiuto nel gruppo non potesse bastare per raggiungere gli scopi che si era prefisso», ossia servire la comunità e migliorare il territorio, e «soprattutto gli fu chiaro che il ritrovarsi fra amici non potesse essere, a sua volta, una forma diversa di isolamento, un allargamento al gruppo della condizione individuale di alienazione metropolitana» (p. 58). All’amicizia, che è il principio-cardine, deve per forza di cose essere unita la pratica affaristica e vitale della professione, in perfetta ottica calvinista, sottolinea l’autore tramite Weber.
Allora, all’inverso, non basterebbe semplicemente che l’associazione diventasse una lobby affaristica?
Risponde Di Summa con le parole di Harris: «se il desiderio del profitto finanziario fosse ritenuto motivo essenziale per aderire ai Rotary Club, non sarebbe azzardato affermare che ne conseguirebbe la perdita di molti dei soci migliori» (p. 55).
Questa posizione, certo in odore di utopia, è d’estremo interesse.
Se effettivamente il Rotary o un analogo perdesse l’ancoraggio etico e i suoi “soci migliori”, idealisti, non sarebbe facilitato negli affari? Non prospererebbe?
Rispondiamo con una domanda: un socio potrebbe a quel punto fare affari senza un dubbio costante? Come gli affari servono l’amicizia, così l’amicizia serve gli affari: se siamo membri di una comunità che ha come suo centro l’aiuto del prossimo, il rapporto fra noi può effettivamente essere di aiuto (o quantomeno non di danneggiamento). Se i rotariani “idealisti” dovessero andar via da un Rotary troppo compromesso con gli affari, il Rotary perderebbe il legame di identificazione reciproca nell’ideale e, di conseguenza, fare affari sarebbe molto meno sicuro. È un po’ il teorema dei falchi e delle colombe, qui a fare il “borghese”, il principio regolatore, è l’amicizia: altrimenti, non si potrebbe mai sapere se il favore ottenuto non sia in realtà una trappola.
Il clima di sfiducia paralizzerebbe gli affari.
La dimostrazione con cui il principio etico dell’amicizia e del servizio sorreggono il principio dell’interesse privato diventa così il punto di partenza per cui il Rotary, come ogni altro punto cavo, offre alle divergenti esigenze dell’etica e dell’interesse la sospensione nel più generale valore della cooperazione.
Un dubbio è legittimo: è la trama di una città agostiniana in cui, sul principio evanescente del generale, risuona l’agire del singolo o è il Rotary?
L'articolo ripreso dal Rotary