Dalle sorgenti della vita alle fonti della verità
Ecco la verità. All’inizio dei Duemila, l’Italia versava in condizioni di penuria e disagio. Maggioranza e opposizione sapevano che per farvi fronte avrebbero dovuto promettere lacrime e sangue, per risultati incerti e certa stroncatura elettorale, stante pure il clima da “caccia al politico”. La situazione non era ignota: una cugina della situazione che aveva portato a Mussolini. Che fare?
Nel corso d’un segreto incontro in una delle molte stanze occulte di Montecitorio, misero a punto una strategia folle e ingegnosa: creare dal nulla – come Forza Italia ai tempi – un attore politico che si opponesse esplicitamente al sistema, ma ricadendo in esso. Niente di complicato, dice qualcuno, con due soldi partiamo su internet, magari con un frontman gagliardo, e vediamo. Trovàti la società d’informatica e il performer d’impatto, il partito è gloriosamente varato: vince un po’ d’elezioni, allude illude e delude, ma salva capra e cavoli. Passate le vacche magre, lo si liquida e si torna a governare senza temere il linciaggio alle urne: il performer scivola nella meritata pensione e la società d’informatica viene ben indennizzata – la crisi va senza troppi danni.
Ma quale sapere infondere in esso, tale da suscitare l’adesione d’una massa? Come renderlo credibile? La scorciatoia è convincere gli elettori che tutto ciò che sanno è falso e che le mezze verità del movimento sono rivelazioni (le quali, non essendo verità “comunicate”, sono impensabili da discutere, criticare o analizzare).
La verità (il sintagma distinto: “Ama il prossimo tuo”, “La donna è mobile”, “Loro sono tutti corrotti”) è di per sé né vera né falsa: come la musica, in fisica, è solo un’onda, né bella né brutta. Sono gli individui che, per mimesi, riconoscendosi nel gesto e nel verso dell’altro (il quale deve emetterli “vuoti” se vuole che la maggioranza ne sia compresa), vanno a integrarla con quanto sanno e sono. La questione non è se un discorso sia vero o falso: è solo se risuona credibile. Ciò, prima ancora della post-verità, lo mostra la storia recente della sinistra progressista, che sa di non poter mettere in uno stesso programma tutte le proprie posizioni, ma solo alcune, se vuole governare: posizioni giuste, anche convenienti, ma prese insieme “incredibili” (intanto vince Macron).
Quando il 3 maggio Berlusconi dichiara, con quello che sembra il lapsus d’uno psichiatra, che il sistema politico italiano – per decenni voluto bipolare – è “tripolare”, ammette implicitamente che il volere della società non si estrinseca più nella dialettica degli opposti, esistendo invece una bolla di voti indifferenti a essa. Questa definizione calza anche alla posizione antisistema, che pone ci sia un esterno alla dialettica fra opposti “fittizi”: peccato non sappia dire cosa (o balbetti “democrazia diretta”), dato che si tratterebbe di definire un branco o una platea più che una società.
La percezione comune sulla liquefazione dei capisaldi, il “non capirci più nulla” a causa delle ibridazioni della modernità, sono il potenziale non previsto e non voluto dell’aumento della conoscenza (che è aumento del sospetto).
In Turchia è stata oscurata Wikipedia perché accusata di gettare discredito sulle istituzioni turche (!) anziché aiutarle nella lotta al Terrore – la maiuscola ormai è d’obbligo. Somiglia al problema di Facebook con le fakenews e i suicidi/omicidi in diretta: getta errore e orrore in faccia alla gente anziché arginarli. La pietra dello scandalo è la cosa introdottasi nella società come mezzo di conoscenza e divertimento che, ora ch’è radicata, mostra anche altri aspetti – apparentemente – reconditi.
Quando, a Santa Marta, il Papa ha detto che Gesù si è fatto diavolo (4 aprile), alludeva forse a questo, e s’è beccato dello “gnostico” da Socci.
Anche le tesi complottiste, nel loro darsi come verità, incorporano un negativo: possono essere parte di un complotto più grande. Chi sa quanto sono tentacolari e varie le propaggini d’un complotto (se non chi l’ordisce)?
Le inversioni fra Erdogan e Wikipedia, fra Gesù e il diavolo, fra complotto e complottista, mostrano il bisogno d’incorporare il negativo nel positivo, di sedarlo prima che scalzi l’affermazione, ma non si fa in tempo, perché già il porla la rende confutabile. Questione di tempo.
L’unica verità che, nella comunicazione politica, rimane in piedi è quella “unaria”: come il bel gesto mostra che il reinvestimento valoriale è sempre a un livello etico sovraordinato, così il complotto ci mostra che vince la verità “più” totale (non a caso ogni verità “vera” è primariamente “segreta”).
È circa il baccarà fra James Bond e Le Chiffre: un gioco al rialzo in cui più si vince più si rischia di perdere, senza seconde possibilità, dove i giocatori sono marginali e conta solo la loro potenza di rilancio a una verità maggiore in cui positivo e negativo si ricomprendano.
Sarà per questa coesistenza di detto e contraddetto nella verità che, da sempre, i complotti hanno alimentato il prestigio degli inquisitori.