Mentre il mondo era ancora confuso dall’abbattimento del cacciabombardiere russo sul confine siriano a opera di due F16 turchi, Putin gelò tutti dicendo solamente che ci sarebbero state «gravi conseguenze nei rapporti Russia-Turchia». So dove abiti e dove giochi a tennis. Siamo a novembre 2015.
Quando il golpe in Turchia fallì, Putin si dichiarò felice che l’ordine costituzionale fosse ristabilito in quella parte del mondo, lasciando al silenzio dei democratici lo spiegare perché il golpe dei militari turchi non è un golpe se non formalmente, di solito. Alla fine, basta una stretta di mano, e tutto è perdonato. Siamo a luglio 2016.
L’anno dopo, il 3 aprile, la metro di San Pietroburgo viene colpita da un attentato; il giorno seguente, su Khan Sheikhun cade un po’ di sarin; il 7, Trump lancia quasi sessanta missili su bersagli tattici con un numero di morti che si conta sulle dita.
Questo atteggiamento, in linea coi tempi, sottolinea che «vivere balisticamente è il precetto del momento» (Confessione di un perdente, Sloterdijk). O, più alla buona, che oggi la politica estera si decide con una sorta di gentlemen’s agreement in cui ci s’incontra fuori e la si regola da uomini: del resto, in un momento in cui la guerra non si dichiara e il carrozzone valoriale resta fermo, da qualche parte bisognerà pur risolvere le questioni che le parole lasciano irrisolte.
Da noi, insieme alle immagini di questo, sono andate in onda le immagini del nuovo co-leader del M5S, Davide Casaleggio, a “Otto e mezzo”, e quelle dell’evento del Movimento a Ivrea, la patria del caro leader estinto. Rispettivamente il 6 e l’8 aprile.
Anche senza averlo visto e sentito, in qualche modo sappiamo di che vuole parlare e sappiamo che non argomenterà mai niente.
Non necessariamente, all’elettore appena smaliziato, è sfuggita la similitudine d’uso fra il blogghe della Casaleggio&Grillo e l’apparato cine-radiofonico dei totalitarismi, e forse non ha nemmeno mancato di cogliere che la questione di base (ancora heideggeriana, ancora attuale, data per scontata nel dibattito senza averla, forse, nemmeno posta adeguatamente) è il rapporto problematico con la tecnologia, che progredisce più velocemente di noi. Si è pronti per il voto diretto in un paese sommerso da cause condominiali?
La performance di Casaleggio ci è superflua in quanto anch’essa epifenomeno di un comportamento più generale che ormai si fa (o torna a farsi) muscolare, che affronta le “crescenti sfide della modernità” con bluff armati o, come nel Marchese del Grillo, passandosi le carte sotto il tavolo col piede: far la voce grossa sulla corruzione e non essere trasparenti, prendersela coi media e influenzarli attraverso l’onesto lavoro della Casaleggio. Un po’ come Putin, coi suoi hacker e il suo fare da duro all’antica, ma senza essere Putin. Tutto ciò, appunto, va sotto il nome di “futuro/voto diretto” in casaleggese, in nome d’un alleggerimento che sembra una distopia di Calvino.
Eppure, se vogliamo fare un discorso sulla tecnica, sappiamo che la tecnica è programmazione: come mai, allora, movimenti che si appellano alla e usano e strumentalizzano talmente tanto e apertamente la tecnologia – una cosa, per come ne parlano, più prossima alla santeria che a un repertorio di saperi tecnici – manifestano nella strategia politica (come vogliamo votare, per esempio) una così drammatica assenza di programmazione?
Eppure i risultati ci sono: la gente li vota e vuole votarli, arrivano dove devono arrivare. Allora, questa assenza di programmazione, potrebbe essere programmata? Cosicché, dovremmo chiederci, secondo quale programma apparentemente assente si struttura un movimento politico del XXI secolo? Come si arriva a sganciare missili qui e lì come gomitate secondo, però, una strategia?
Forse il programma è sfruttare la schizofrenia di un elettorato very emotional che vuole l’occidente libero ma chiuso, tradizionale ma aperto, capitalista ma socialista, frizzante ma liscio con un po’ di ghiaccio, se è possibile. Schizofrenia presente sulla giustizia come sull’Euro\pa (ma veramente qualcuno parla di sovranismo?). Forse, Davide Casaleggio ha capito che bisogna parlare loro nel linguaggio degli psicotici, con discorsi ellittici privi di sostanza, di addentellato pratico, perché diretti a soggetti privi di cognizione del reale. Del resto, l’uso del referendum è sintomatico: “Dottore, ho paura degli immigrati che mi entrano in casa!” “E cosa ne pensi di questi immigrati? Cosa è per te casa? Come vorresti che fosse?”. Davide Casaleggio fa lo specchio riflesso dello psichiatra, ma l’inquietante è che anche questo fa parte dell’algoritmo. Intanto, là fuori, ci sono dei veri bulli, che se le regolano così certe piccole faccende.
Rimanendo a Ivrea e alla mano di smalto intellettuale che il M5S s’è voluto dare, un tema che varrebbe la pena di trattare dovrebbe essere la necessità di una scuola politica per evitare quel che è già successo in molte città, una volta civili: l’invasione dei cinghiali, “cinghiali laureati in matematica pura”, direbbe De Andrè.