Non si può votare il migliore
Nei film di Luigi Magni sono contenute delle verità semplici ma profonde, un po’ come nel riccio di Isaiah Berlin. In Scipione detto anche l’Africano (1971), particolarmente, una di queste grandi e semplici verità viene affidata all’interpretazione di Gassman nei panni di Catone il Censore, il quale dice a Mastroianni che interpreta Scipione: “Basta esse’ come l’artri. Mejo mai, ma peggio è inutile. Uguale”. Non si può dire che le cose stiano molto diversamente da così: anche oggi, per essere eletti, quello che serve è essere uguali, meglio mai e peggio non serve. Ma in che modo uguali e a chi o cosa?
A giudicare da quel che si vede in giro, nelle varie comunicazioni politiche, virali o meno, canoniche o da web 2.0, l’ideale di uguaglianza è ispirato a un senso di mediocrità impenetrabile come il manto di un armadillo, da cui in pochi emergono e solitamente per motivi scarsamente nobili come un nome comico (Maddalena Ficarotta con Settimio Culora sindaco per una lista civica di San Cataldo), foto di dubbio gusto (come il candidato pentastellato Zifarone), precisazioni imbarazzanti (come Michele Dell’Utri per i Moderati, che tiene a specificare “Non sono parente!” direttamente sul manifesto elettorale) e così via. Insomma ciò che esce dal grigiore entra di diritto alla “Corrida”.
Malgrado questi esempi degradati di comunicazione politica – che può perfino sortire qualche effetto paradosso per cui, come per la pubblicità della Pittarello, la bruttezza fa sì che la notorietà aumenti col passaparola – resiste un altro tipo di comunicazione che s’ispira a una forma di uguaglianza che potremmo definire conformista.
Il candidato sindaco o consigliere comunale che usa questa modalità comunicativa è facilmente identificabile perché ha delle caratteristiche variabili, ma abbastanza ricorrenti.
Studi: ho conseguito la laurea in lettere moderne/scienze della comunicazione/scienze motorie o licenza liceale/media/diploma alla Scuola Radio Elettra col massimo dei voti e in regola.
Lavoro: sono giornalista pubblicista e ho scritto per varie testate on-line/professore di liceo con la passione per la musica dei Led Zeppelin/dermatologo con trascorsi nell’Azione Cattolica.
Passioni: amo la mia città (che sia poco più d’un quartiere dormitorio o un interland tipo banlieue poco importa) e gli animali/amo la mia città e fare sport all’aria aperta/amo la mia città e darmi da fare.
Motivazioni: mi candido perché voglio dare in mio contributo alla collettività/perché sono stanco di lamentarmi e voglio fare qualcosa di concreto/perché insieme ce la possiamo fare/perché siamo tutti sulla stessa barca.
Che ritratto ne deduciamo? Un disoccupato/sottoccupato/pensionato la cui dimestichezza con l’amministrazione pubblica è circoscritta alla teledipendenza da talk-show parapolitici, che non ha altro antidoto alla propria frustrazione se non lo spirito di servizio presso la comunità, in sostanza quello che nell’antica Grecia veniva chiamato “idiotes”.
Costui o costei non si presenta come un genio e nemmeno potrebbe, non può vantare un cursus honorum di qualche rilevanza, non ha una seria qualifica per capire se il bilancio che firmerà è davvero in ordine, non ha un armamentario culturale che possa consentirgli margini di creatività nelle decisioni. Come del resto la maggior parte dei votanti, che ovviamente non potrà essere composta da brillanti politologi ed economisti.
Di per sé niente di male, ma ciò pone la seria questione del ruolo attanziale dell’idiozia nella comunicazione politica.
Se bisogna essere uguali non si può essere migliori, non si può dire all’elettorato “ho tutte le capacità che servono, ma siccome tu non ce le hai, non sei in grado di capire che le ho io”. L’elettorato vuol essere rassicurato, vuol capire ma senza faticare, scegliere qualcosa che conosce, praticamente vuole votare se medesimo. Legittima aspirazione narcisistica, ma politicamente fallimentare.
L’idiota consente al pubblico degli elettori di poterlo giudicare, addirittura di poterlo criticare essendo possibilmente un gradino sotto le facoltà dell’elettore medio. Da qui la scaturigine di scialbe biografie e di programmi elettorali di tonitruante dabbenaggine. Nemmeno di buon senso, che potrebbe non entusiasmare gli animi e raccogliere i voti. Un semplice “C’è molto da lavorare e non potremo avere tutto e subito” verrebbe percepito come un mettere le mani avanti su un previsto fallimento.
La confusione è evidente: l’elettorato esige un’azione, ma non vota chi quell’azione potrebbe davvero svolgerla (il polites, per i greci), ma chi manifesta uno status che lo rassicura (cioè l’idiotes, che candidandosi si maschera da polites). Questo è inevitabile se sono i cittadini per primi a non avere quella formazione indispensabile per poter giudicare opportunamente, e ciò si riflette sulla qualità dei candidati.
Di certo non tutti i candidati sono così, esistono delle eccezioni: la più nota di recente risale alle elezioni regionali del Lazio, quando si candidò Emma Bonino. Perse.